SECONDA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

ANNO A/19 Gennaio 2020

Is 49, 3.5-6; Sal 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1, 29-34

            È interessante soffermarsi oggi su un tema che scaturisce potentemente dal testo evangelico, tratto dal Quarto Evangelo, che la liturgia propone in questa domenica. Mi pare importante fare una riflessione sulla testimonianza, sulla sua origine e sul suo fine. La parola “testimonianza”, se la leggiamo in greco, ci dice l’ampiezza semantica che questo termine ha assunto nella tradizione cristiana e nelle vicende della Chiesa. In greco – come sappiamo – “testimonianza” si dice martyría e “testimone” si dice mártys; con questa “lente” riusciamo a capre che la testimonianza non è una semplice espressione verbale ma si tratta di un qualcosa che coinvolge la vite, le scelte, l’esistenza. È qualcosa anche di rischioso. Nel senso che il Nuovo Testamento dà a questa parola è chiaro che non si può essere testimoni per un’ora, per un giorno, per una circostanza. Insomma non si fa il testimone, si è testimone.

            Per il Quarto Evangelo, quella della testimonianza è una categoria di capitale importanza e, se al principio il testimone è il Battista e alla fine della narrazione è il Discepolo amato, del quale più volte si dice che rende testimonianza (cfr 19, 35; 21, 24), è vero che al cuore dell’Evangelo è testimone il Padre (cfr 5,32.37), è testimone lo stesso Gesù (cfr 8,14.18; 18,37), è testimone lo Spirito (cfr 15,26) e poi tutti i discepoli sono chiamati a rendere testimonianza e questo Gesù lo chiede loro in modo diretto (cfr 15,27) e indiretto con il Comandamento nuovo (cfr 13,35) nel quale è detto che tutti sapranno che sono discepoli di Gesù se essi daranno la testimonianza dell’amore.

            Nel testo di oggi il Battista si dichiara testimone e d’altro canto l’evangelista aveva detto di lui proprio questa missione fin dal prologo (Egli non era la luce ma venne per rendere testimonianza alla luce, 1,8 e, più avanti lo stesso Battista proclama: Era di lui che io dissi colui che viene dietro di me è avanti a me perché era prima di me, 1,15).

            Nel racconto che oggi ascoltiamo è resa chiara anche la genesi di questa testimonianza del Battista ma anche la genesi di ogni testimonianza. Giovanni Battista prima cosa ha ascoltato il Signore che gli parlava, è stato dunque orecchio teso all’ascolto attento di Dio, delle sue parole che gli indicavano dove volgere lo sguardo; poiché ha ascoltato ha saputo guardare  ed è stato fatto capace di vedere quello che gli altri non vedevano: ha visto lo Spirito scendere su Gesù ed ha riconosciuto in Gesù il Messia; ha riconosciuto che colui che gli veniva dietro, che era stoto, cioè, fino a quel momento un suo discepolo, è il Messia. Giovanni dichiara che non lo conosceva così, per lui Gesù era uno dei tanti, ma poi ha ascoltato e ha visto. E dà testimonianza!

            È importante che quell’ascolto e quel vedere di Giovanni debbano passare per un ordinario che deve esser visto altrimenti; è importante perché per testimoniare Dio si deve esser disposti a lasciarsi sconvolgere lo sguardo, lasciarsi capovolgere l’usuale sempre visto, si deve essere disposti a vedere ciò che prima non si vedeva, anzi non che non si vedeva ma che non si vedeva in un certo modo, nel modo nuovo che Dio indicava. Il testimone, dunque, è uno che è disposto non solo ad ascoltare ma anche a farsi mettere in questione da quell’ascolto. Chi è capace di questo diviene un testimone e soprattutto un testimone credibile, un testimone capace di indicare quell’alterità che ha saputo cogliere.

            Giovanni il Battista da quell’ascolto e da quel vedere con occhi rinnovati è riuscito a fare una sintesi che proclama nella sua testimonianza: Ecco l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo! Vedremo domenica prossima che una parola così mette in moto i cuori di chi ascolta! Una parola che proviene da uno che non è restato immobile nelle sue convinzioni e nei suoi schemi! L’agnello è quel Gesù! … Una parola norme quella che Giovanni testimonia. Il Quarto Evangelo ci dice fin dall’inizio chi è Gesù: è l’agnello di Dio! Un’identificazione questa carica di significati, di rimandi, di profondità. È l’agnello immolato da Israele prima di lasciare l’Egitto e nel cui sangue posto sugli stipiti delle porte gli ebrei erano stati salvati dal passaggio dell’angelo sterminatore (cfr Es 12, 1-18); è agnello come il Servo sofferente che è condotto al macello come agnello afono, senza voce, che prende su di sé il peccato di molti (cfr Is 53, 7) e, d’altro canto, in aramaico, la lingua che come tutti parlava il Battista, “agnello” si dice talja e con la stessa parola si dice anche “servo”! In questa prospettiva è anche l’agnello dello Yom Kippur, del Giorno dell’espiazione; quell’agnello su cui il Sommo Sacerdote ogni anno metteva tutti i peccati del popolo e il cui sangue era il veicolo della misericordia senza limiti del Signore.

            Si badi bene che il Battista non dice che prende su di sé i peccati ma dice il peccato, cioè non tanto i singoli peccati ma il peccato, quello che sta alla radice di ogni male, di ogni singolo peccato; quale questa radice? Per il Nuovo Testamento è chiaro che questa mortifera radice è l’incredulità, la cecità dinanzi alla luce, la grettezza e l’orgoglio dinanzi al dono di Dio. La fede del testimone che è Giovanni sa varcare la soglia della debolezza, del limite e sa vedere il volto nascosto del divino nel volto “ordinario” di Gesù, suo discepolo. Certo ciò è possibile attraverso l’azione dello Spirito che ha rivelato a Giovanni l’identità e la missione di Gesù, è Lui, lo Spirito, il segreto ultimo della testimonianza del Battista ma anche il segreto ultimo di ogni testimonianza cristiana. Lo Spirito non solo è garante dell’origine della testimonianza ma è garante anche della forza e del coraggio del testimone.

            La testimonianza, infatti, si colloca sempre nel contesto del conflitto con i mondo. Il suo fine è indicare vie per rigettare la mondanità e le sue perversioni disumane! Il mondo dinanzi a questo fine si arma contro i testimoni! Chi si fa testimone si mette, infatti, dalla parte della luce (il Battista deve rendere testimonianza alla luce, ha detto l’evangelista fin dal prologo!) e questo chiede di scontrarsi con le tenebre!

            Bisogna sapere che il tempo delle tenebre è la stagione dei testimoni! Facciamo attenzione a questo nostro oggi! L’annunzio impavido dei testimoni veri, quelli che hanno dato e danno il sangue ma anche quelli che decidono, a causa della testimonianza, di pagare un prezzo di marginalità, di disprezzo, di derisione, di insignificanza per il mondo, ha un segreto: essi hanno incontrato il Signore! Hanno ascoltato Dio, hanno visto la presenza del Signore, sono diventati dei “contemplativi”, uomini e donne cioè capaci di leggere la storia con gli occhi di Dio, attraverso la lente imprescindibile della Parola contenuta nelle Scritture con cui essi di continuo si confrontano, di cui essi vivono!

            Il Signore oggi ha ancora bisogno di testimoni.

            Noi lo saremo?

P. Fabrizio Cristarella Orestano

Francisco de Zurbarán (1598-1664):
Agnus Dei (Madrid, Museo del Prado)