TREDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

26 Giugno 2022/ Anno C

1Re 19,16.19-21; Sal 15; Gal 5, 1.13-18; Lc 9,51-62

            Il Messia Gesù è esposto al rifiuto, alla solitudine, all’incomprensione, perfino alla morte violenta!

            Gesù l’aveva detto, dopo la domanda circa la sua identità (cf. Lc 9,18-20), ed ecco cominciano ad inverarsi quelle sue parole.

Dopo il rifiuto dei suoi concittadini a Nazareth (cf. Lc 4,16-30), ora Gesù prova il rifiuto dei lontani; prova cosa significhi vedersi negata l’ospitalità perché “straniero” (una parola che non può non essere abolita dal parlare dei cristiani circa gli altri, tutt’al più bisogna dirla di se stessi, chiamati a essere “stranieri” per il mondo. Cf. 2Pt 2,11), prova il rifiuto perché considerato “nemico” … i samaritani mostrano tutta la loro intolleranza e i discepoli vorrebbero rispondere ad intolleranza con intolleranza (e quante volte i cristiani sono stati tentati su questa tremenda via dell’intolleranza!). La via dell’Evangelo è altra!

            Il problema è sempre quello: i discepoli non hanno compreso la “novità” che è Gesù! Sono prigionieri degli stessi pregiudizi per cui Gesù è rifiutato.

            Il rifiuto qui si allarga perché in questo racconto Luca ci mostra un Gesù incompreso dai samaritani, ma incompreso anche, per motivi diversi, dai suoi discepoli.

            Sembra che il seguito del passo di questa domenica non sia collegato a questa prima scena ed invece tra le due parti di questo evangelo c’è un nesso molto profondo; quel che segue, infatti, sono tre scene che riguardano la sequela di Gesù.

            All’inizio di questo passo abbiamo letto che Gesù sta andando a Gerusalemme con “il viso duro”…lì si compirà il suo essere “tolto” (o come tradurrà in latino Girolamo, con espressione riassuntiva del mistero pasquale, la sua “ascensione”); Gesù sta dunque andando deciso, senza tentennamenti e rinvii verso quella Passione che ha già annunziato due volte (cf. 9,22 e 9,43-45).

            Il discepolo è disposto a seguirlo in questa precarietà rischiosissima, in questa avventura costosa che dà senso e consistenza a tutta la vita del Messia Gesù?

            Una via, quella di Gesù, che rifiuta le intolleranze e la violenza (il rimprovero a Giacomo e Giovanni che vorrebbero incenerire i samaritani è una chiara dichiarazione di intenti) e che sceglie la debolezza e l’insicurezza.

            Ecco perché quelle tre parole sulla sequela che Luca pone qui!

            Le situazioni in cui nascono queste tre parole di Gesù su come seguirlo non hanno esito nel racconto di Luca, non sappiamo, cioè, questi tre uomini cosa abbiano fatto. Siamo dinanzi a tre storie aperte che puntano non tanto sulle vicende di quei tre ma sulle esigenze della sequela, sulle vicende di chi legge l’evangelo.

            Alla fine, sarà importante sapere come noi ci poniamo dinanzi a questo Messia che sceglie la via incredibile, inusuale (per gran parte dei giudei addirittura una via “empia”) del celibato per un amore senza confini eppure compromesso fino al sangue; l’espressione «non avere dove posare il capo» è infatti formula che significa “non avere moglie”.

            Sarà importante verificare se anche noi cerchiamo dilazioni per seppellire “morti” che ci rendono “morti” perché ci inchiodano ad un passato senza futuro, senza “novità”, ad un passato che vuole essere solo “morta” ripetizione di ciò che è noto! Con Gesù, invece, si entra in una storia gravida di futuro e perciò fatta di libertà…e la libertà – lo sappiamo – è anche luogo di rischio, di scelte, di incertezze, di ignoto.

            Alla fine, ancora sarà importante verificare se per seguire Gesù noi siamo capaci di cogliere l’urgenza di tale sequela che non tollera, non dico scappatoie, ma neanche rimandi. Se nella prima lettura, tratta dal Primo libro dei Re, abbiamo visto, infatti, che Elia concede ad Eliseo di andare a salutare i suoi prima di seguirlo, Gesù no! Gesù non è Elia!

            Certo, in questa pagina l’Evangelista raccoglie dei detti fortemente  provocatori, di una radicalità sconvolgente … e non bisogna addolcirli, addomesticarli e neanche giustificarli! Vanno colti nella loro durezza e nei loro silenzi carichi di ulteriore.

            L’espressione più dura, «lascia che i morti seppelliscano i loro morti», non è solo un’iperbole che vuole colpire il lettore, è una parola forte che vuole realmente capovolgere le nostre mentalità, le nostre priorità.

            Il problema non è di lasciare i morti inseppelliti, il problema è capire che dinanzi alla novità che è Gesù ed al Regno che l’Evangelo annunzia tutto impallidisce! Insomma, qui non ci sono imperativi morali, ma c’è una rivelazione di chi è Gesù!

            Qualche pagina precedente Gesù domandava: «Chi sono io per la gente? Voi chi dite che io sia?». Qui, in fondo, sta rispondendo Lui stesso: è tale che ogni precetto, anche santissimo (come quelli della Torah!) va in subordine! Prima Gesù ed il suo Evangelo!

            Guai a chi si volta indietro e si fa prendere da nostalgie, distrazioni, riserve … la sequela di Gesù non sopporta queste cose perché un discepolo così non potrà mai annunziare il Regno; un discepolo così non è adatto al Regno perché è troppo dominato da altre cose, forse anche buone o addirittura “sante”, come l’affetto per i propri cari, per far regnare davvero Dio al primo posto!

            Il problema è sempre lì: Gesù e il Regno non sono assolutizzanti ma esigono un primato senza il quale il Regno non è più il Regno e rischia di diventare un sistema di idee, un’ideologia religiosa o forse anche – come tanti oggi vorrebbero – una “religione civile” che rende migliori gli uomini e la loro convivenza con una serie di “buoni valori”! |

            Nulla di tutto questo è l’Evangelo! Gesù è netto: o Lui è il Signore o nelle nostre vite non può essere nulla!

            È duro?

            Certo!

            Ma è così! 

P. Fabrizio Cristarella Orestano

Giovanni March (1894 – 1974): L’aratura (Collezione privata)