TRENTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anno A/25 Ottobre 2020

Es 22, 20-26; Sal 17; 1Ts 1, 5c-10; Mt 22, 34-40

            L’uomo ha due tendenze fondamentali e queste due tendenze permeano anche l’animo cristiano: la tendenza “religiosa” che accentua il primato di Dio, e dunque la dimensione della preghiera, dell’interiorità e della ricerca di senso per plasmare un uomo migliore a partire dal quell’interiorità, e la tendenza dell’ attenzione all’uomo con la lotta per la giustizia, la critica alla società e le sue dinamiche pervertite, la presa di posizione dinanzi ai poveri…qualcuno parla di fede e politica, altri di contemplazione ed azione, altri ancora di “teroriae  pratica

            Nulla di più superficiale, errato e dannoso per l’autentico sviluppo dell’uomo e del credente.

            Purtroppo questa contrapposizione si è insinuata anche nella Chiesa con la pestifera distinzione tra vita contemplativa e vita attiva e con le letture conseguenti e sciagurate di passi come quello di Marta e Maria (cfr Lc 10, 38-42).

            Chi fa queste letture o predilige una via all’altra dimentica il testo evangelico di questa domenica, testo attestato con diverse colorazioni in tutti e tre i Sinottici e che Matteo ci trasmette in una versione scarna che punta dritto al problema senza edulcorazioni e senza neanche l’alone di simpatia con cui Marco circonda l’incontro tra Gesù e lo scriba…un incontro, in Marco, tra due cercatori di verità. Nulla di tutto ciò in Matteo: al nostro evangelista interessa mostrare le due dimensioni come cardini imprescindibili su cui si regge tutta la verità dell’uomo. Per Matteo ci sono appunto due cardini, uno superiore (l’amore per Dio) ed uno inferiore (l’amore per il prossimo), ma tutti e due essenziali per far girare la porta, per aprirla e farla essere ciò che deve essere…li chiamocardini” perché in Matteo Gesù dice che a questi due precetti sono appesi (in greco “krématai” che ha sullo sfondo l’ebraico “telujim”) tutta la Legge e i Profeti… le porte non girano su un solo cardine; ce ne vogliono per lo meno due…

I due precetti erano, come si sa, notissimi ma la novità di Gesù, nella risposta che dà al fariseo malevolo che qui lo interroga, sta nell’aver associato lo Sh’mà (cfr Dt 6, 5) con il suo comando dell’assoluto  primato di Dio che era indiscutibile e per Gesù e per i Farisei, con il comando dell’amore per il prossimo tratto dal Libro del Levitico (cfr Lev 19, 18); il Fariseo gli ha chiesto del kelal gadol, il “comandamento grande”, come dicevano i rabbini nelle loro discussioni, e Gesù invece ne enunzia due e, senza negare il primato di Dio, dichiara che c’è un altro precetto, diremmo speculare al primo e impossibile da osservarsi senza il primo: l’amore per il prossimo.

D’altro canto è chiaro che questo comandamentospeculare rivela la verità dell’osservanza del primo…solo chi ama il prossimo mostra di amare Dio per davvero Dio e di amarlo con tutto ciò che è, che pensa, che possiede come prescrive lo Sh’emà.

Per Gesù questo secondo comandamento è davvero rivelativo del primo e qui Gesù, se ben ci pensiamo, è sottilmente polemico ed ironico: i Farisei stanno dimostrando con la loro malevolenza e perfidia (vogliono metterlo alla prova, ha scritto Matteo) di non amarlo, di non riconoscerlo prossimo…dunque: non amano neanche Dio; infatti si radunano e tengono consiglio contro di Lui per arrestarlo e poi per ucciderlo (cfr 21, 46. 22,15); dov’è dunque il loro amore per Dio?

I due comandamenti non vanno disgiunti, né va tolto il primato al comandamento dell’amore per Dio: quando questo crolla nulla può rimanere radicale nell’amore per l’uomo.

Quanto appaiono stolte certe recenti posizioni “aggiornate” assunte da qualche ordine monastico di antica fondazione che, in nome dell’uomo (e, aggiungo, “per prurito di novità”, come direbbe l’Apostolo!), ha recentemente affermato di non poter più ritenere vincolante il dettato della Regola di san Benedetto che chiede ai suoi monaci di nulla anteporre all’amore di Cristo (RB 4,21) e di doverlo mutare in nulla anteporre all’amore per l’uomo!

Incredibile! Come è possibile una simile deriva? Come se l’amore di Cristo in cima agli amori non fosse garanzia di un vero amore per l’uomo, come se il primato che Cristo chiede per Dio e per sé non fosse la vera forza dell’Evangelo e dunque la forza dell’amore per il prossimo; come se il mistero dell’Incarnazione non fosse sigillo di forza sull’amore per l’uomo; come se le salde radici nell’amore per Cristo non fosse liberante da ogni idolatria ed ideologia; come se l’amore per Dio non fosse forza che tutto purifica!

Per Gesù il kelal gadol, il grande comandamento, è il primato di Dioche Egli genialmente unisce all’amore per il prossimo ma in una gerarchia che non assolutizza il primo (sarebbe ipocrita “religione”!) e non assolutizza il secondo (sarebbe filantropia senza radici profonde e senza forza di durata e con la tentazione di fare distinzioni tra prossimi e meno prossimi se non tra amici e nemici!); Gesù non priva di importanza il primo, giudicandolo troppo astratto e non svilisce il secondo perché troppo politico.

Per Gesù i due precetti sono l’uno di fronte all’altro, mostrano le esigenze l’uno dell’altro e, proprio come due cardini, reggono e fanno girare la porta della vita che è la Rivelazione di Dio, la Legge e i Profeti.

Solo su quei due cardini si può aprire la porta all’uomo nuovo che trova nell’amore per Dio e per il prossimo la possibilità di trasformare la faccia della terra.

Gesù percorse questa strada: amò il Padre con tutto se stesso, fino a volere solo la volontà di Lui (cfr Mt 26, 39.42) e amò i suoi che erano nel mondo “fino all’estremo” (Gv 13, 1).

P. Fabrizio Cristarella Orestano

Cristoforo De Predis (1440-1486): Il comandamento più grande; Miniatura. Secolo XV